Cerca nel blog

domenica 13 novembre 2016

I Romani nelle Americhe


I Romani nelle Americhe
l’Oceano Atlantico è più grande del Mar Mediterraneo, ma al pari di esso è stato completamente esplorato ed è sotto il dominio di Roma.”
L’imperatore Giuliano

Foto del relitto di Madrague de Giens da Archeo Dossier n. 3del 1985

   Nel 1976, José Robert Teixéira si era immerso nella baia di Guanabara – sita a circa 24 chilometri da Rio de Janero – per praticare della pesca subacquea.
   Ma qualcos’altro dei pesci pregiati a cui dava la caccia, attirò il suo sguardo: Dal fondo melmoso vide fuoruscire una sagoma strana, la sagoma di tre grandi giare, di poco più di un metro con il collo a due manici. Il giovane riuscì a recuperarle e le giare gliele acquistò un antiquario. Secondo l’Istituto di Archeologia Brasiliano sembravano antiche anfore greche utilizzate per trasportare olive o datteri.
   Negli anni seguenti, nella stessa area i pescatori continuarono ha localizzare oggetti simili, facendo ipotizzare che nella baia si trovasse un antico relitto. Il direttore del Museo Marittimo di Rio de Janeiro decise di consultare un archeologo subacqueo di buona fama, Robert F. Marx.


Le anfore romane ritrovate in Brasile

  Marx, arrivò in Brasile parecchio scettico ma un pescatore locale gli mostrò nel suo garage almeno 14 grandi giare. A quel punto la cosa cambiava aspetto come le anfore, che secondo l’archeologo non potevano essere greche. La loro particolare forma indicava la provenienza dalle fabbriche di Kouass attive in Marocco, 2000 anni prima. Sicuramente le giare erano state trasportate in America durante l’età coloniale, ma, sorpresa! Gli oceanografi dei due principali istituti marini di Rio spiegarono all’archeologo nordamericano che le incrostazioni erano state prodotte nella baia stessa in un numero enorme di anni. Perciò, quelle anfore erano arrivate in America all’apice del potere romano. Non per niente un esame al carbonio sulle incrostazioni fatto a Miami le datavano ad almeno 1500 anni prima.

Marx con una delle anfore

   Marx si mobilitò per avere dalle autorità brasiliane il permesso di localizzare il presunto relitto romano. Con la collaborazione del Massachusetts Institute of Technology di Boston, effettuò una ricerca con il sonar nella area dove furono trovate le giare e vennero individuati due oggetti sul fondo, che potevano essere non uno, ma due probabili relitti.
   E fu in quel momento che si scatenò la polemica; Spagna e Portogallo ebbero il timore che la presenza di una nave romana sul fondo della baia brasiliana, avrebbe messo in discussione l’arrivo di Pedro Álvares Cabral in Brasile nel 1500, come quello degli spagnoli ad Hispaniola nel 1492.
   Le cose precipitarono a tal punto che, fra tante vicissitudini, durante una festa a cui Marx partecipava, fu preso da parte dal ministro dell’istruzione brasiliano e gli disse chiaro e tondo «Ogni piazza in Brasile ha una statua di Cabral, il vero scopritore del Brasile, e non abbiamo certo intenzione di sostituirle con monumenti a un anonimo pizzaiolo italiano solo perché lei ha inventato un relitto romano che non esiste». Intervene pure la Chiesa per bocca del vescovo cattolico di Rio, che dichiarò dal suo pulpito che Marx aveva aggredito la sacra storia del Brasi­le e suggerire che provenissero dai "pagani" Romani pre­cristiani era un'eresia per i pii brasiliani. Sembra anche che la marina militare brasiliana riempì di sabbia il fondo di quella che da quei giorni viene chiamata “Baia delle giare”, con relativa protesta di Robert Marx a cui – subito dopo – accusato di truffa, viene negato il permesso di soggiorno in Brasile.
  Infine la tragedia si trasforma in farsa: Americo Santarelli (un nome, una garanzia), ricco uomo d’affari brasiliano, affermò che le anfore nella baia – ma guarda – ce le aveva messe lui, perché innamorato di alcune antiche giare siciliane, che avrebbe ordinato ad un vasaio portoghese di farne 16 repliche, e per invecchiarle al punto giusto le avrebbe poi gettate nella baia.
  Pazzesco, nemmeno questo Marx si chiamasse Karl!
  Ma i Romani arrivarono realmente nelle Americhe? Per me la risposta è ovvia: un netto e categorico sì! Ma, e le prove? Bè, noi che non siamo i soliti sapientoni, con lauto stipendio dietro le spalle, pronti a negar tutto per tenersi legate le poltrone.
   Dobbiamo basarci su prove indiziare.

   Nel 1986, di fronte le coste di Marsiglia fu rinvenuta una imbarcazione romana datata all’incirca al 98 dell’Era Volgare, il cui scafo al di sotto del parapetto era stato preservato da uno strato di fango. Gli archeologi furono sorpresi dalle moderne caratteristiche del relitto che era capace certamente di viaggi transatlantici. 



Questo è un affresco del all’incirca 50 ante Era Volgare, di un globo romano con meridiani e paralleli, proveniente dalla villa di P. Fannius Synistor a Booscoreale.  Oggi si trova al museo d’arte Metropolitan di N. York.
  
   Nel 1971, a 12 metri profondità nella baia dei Castine, nel Maine furono trovate due anfore classificate come iberico-romane del I secolo E. V. dagli studiosi dell’Early Sites Research Society. E un’altra fu trovata sempre nel Maine, ma vicino a Jonesboro.
   Nel 1972 al largo delle coste dell’Honduras fu individuato un relitto romano da parte di alcuni sommozzatori che videro un cumulo di anfore giacente sul fondo. Anche qui le anfore sembravano provenienti dai porti del Nord Africa, ma gli studiosi che chiesero il permesso per scavare il relitto se lo videro rifiutare dalle autorità perché ulteriori ricerche avrebbero compromesso la gloria di Colombo. Non solo ma diverse centinaia di antiche monete romane d’argento e bronzo – datate dall’epoca di Augusto al 350 dell’Era Volgare – furono trovate su una spiaggia del Venezuela. Altre contenute in un recipiente in ceramica furono scoperte vicino a Recife, in Brasile.


  Tutti naufragi? Nel 1933, l’archeologo messicano José Garcia Payon ritrovò sigillata sotto ben tre strati di pavimento di una tomba mai aperta del XVI secolo – situata sotto la piramide pre-Tolteca di Tecaxic-Calixtlahuaca, vicino alla città di Toluca – una statuina in terracotta. Il bello di questa piccola opera è che raffigura un europeo barbuto con un pettinatura in stile romano, e come cappello ha un berretto da marinaio del I secolo dell’Era Volgare, tipico della portuale greca di Pylos. Con una piccola estrazione dal collo della statuina, il Max Planck Institute of nuclear Physics di Heidelberg provarono – attraverso i test di termoluminescenza – che l’operina era stata cotta 1800 anni fa, cioè del 200 dell’Era Volgare.
    Agli inizi del 2000, nelle profondità del Cenote del sacrificio di Chicen Itza, fu ritrovata una bambolina di legno e cera dello stesso periodo della statuina del marinaio suddetta. Il giocattolo riportava una breve, sbiadita, ma riconoscibile scritta latina.
   A luglio 2012, sulle rive del lago Gogebic, nel Wisconsin, il ricercatore Scott Mitchen e i suoi colleghi trovarono le tracce di ciò che sembrava un antico insediamento preistorico. scandagliando le sue fondamenta sommerse, l’équipe trovò molte punte di frecce e lance di alta qualità e oggetti di rame, somigliati a forcine di capelli classificati come d’epoca vittoriana. Eppure nello stesso dicembre Waine May di Ancient American visitò il museo di Villa Giulia a Roma e sorpresa! Si è trovato davanti a sei reperti romani descritti come Stili per scrittura su tavolette cerate la cui somiglianza fisica con i reperti scoperti da Scott Mitchen era più che evidente. Come si sa – almeno chi ama il mondo dell’antichità – lo stilo è un “bastoncino” lungo e sottile, a punta ad una estremità e nell’altra è piatto e circolare per poter cancellare ciò che è stato scritto.

Nippur di Lagash “scrive” su una tavoletta. Disegno di Lucho Olivera del 1975

Un sistema di scrittura creato dai Sumeri che incidevano i loro caratteri cuneiformi su soffici tavolette d’argilla con una canna ricavata da una pianta grassa assai diffusa in Mesopotamia, di cui si ha una testimonianza perfino in America – vedi la ciotola di Fuente Magna – e proseguita anche nell’antico Egitto e a Creta. Gli antichi Greci furono i primi a produrne in metallo e gli stili nell’antica Roma erano in genere di Bronzo e ferro. E quelli americani ritrovati nel 2012 sono di una produzione compresa tra il I° e il III° secolo dell’Era Volgare, per di più sono modelli più ornati e costosi di quelli esposti a Villa Giulia. Se poi notiamo che sono stati trovati nella zona della penisola superiore dei grandi laghi dove si svolse la più grande impresa di estrazione dell’antichità tra il 3000 ante Era Volgare e il 1200 dell’Era Volgare, da persona ignote… certo ci vuol poco a immaginarvi Sumeri, Fenici e infine i Romani. E visto che i pozzi furono sporadicamente riaperti e chiusi, da minatori non identificati, ecco venire in mente, i soliti templari. Il rame, per ricercatori indipendenti, veniva imbarcato verso l’Europa e da lì in Medio Oriente per produrre il bronzo. Seguendo queste idee viene da credere che gli stili potrebbero essere appartenuti a contabili romani ed anche le punte di frecce sarebbero più affini alla produzione d’oltreoceano che a quelle precolombiane.
   Vi sarebbero inoltre altri rinvenimenti di spade, statuine, lampade a olio di epoca romana tra Usa, Messico, Honduras e Brasile. 
    Tra giugno e agosto del 1886 delle tempeste erosero gran parte della spiaggia dell'isola di Galveston in Texas, e il relitto di un antico mercantile romano - costruito con solida quercia nel IV secolo dell'Era Volgare - venne alla luce. Il bello è che oltre al natante durante altri lavori sull'isola nel 1915, alcuni operai scoprirono delle pesanti travi di legno, gli indubbi resti di un ponte. La terra che si era accumulata sulle travi era profonda ben quattro metri  mezzo e la tecnica costruttiva non poteva essere dei nativi. Inoltre i Pellerossa nativi, i Karankawa, erano un misto di caratteristiche somatiche amerinde e causasiche, di carnagione non molto scure e con lineamenti delicati. Un vero e proprio contrasto con gli altri popoli rossi della regione come i Comanches e gli Apaches. Inoltre molte parole della loro lingua erano simili nel significato o nella pronuncia al latino, già riscontrata dai esploratori spagnoli. Il professor Valentine Belfiglio della Texas Woman's Univerty dichiarò in un'intervista che:
«Sia i Karankawan che i Romani erano piliteisti. Come nel caso di Picumnus e Pilumnus, Mel e Pichini furono spriti della fertilità e dei raccolti. In Materia di religione, i Romani come i Karankawan credevano nel sopranaturale, identificato dai Romani nei Numi e dai Karankawan nei Haijiah.
 


   Per i Romani la Luna rappresentava Diana, la Dea della caccia e sembra che i Karankawan condividessero questa visione. Sia i Romani che Karankawan attribuivano qualità spirituali alla Luna. Il riferimento alla caccia è evidente poichè il concetto di "Luna del cacciatore" (la luna piena dopo la luna del raccolto) esiste tutt'ora» (Vedi intervista apparsa su Hera n. 88 del maggio 2007).
   Inoltre il professore scovò nel '93, sempre in questa zona, una moneta romana del tempo di Traiano e un'altra, coniata in Gallia tra il 270 e il 273 dell'Era Volgare, venne trovata nel 1970 tra le dune sabbiose che sono di fronte all'oceano. Naturalmente il professore - di chiara origine italiana - deve perseguire la tesi del naufragio, ma l'integrazione tra i cittadini Romani e i Pellerossa non può essere avvenuto solo a seguito di un naufragio. Purtroppo anche in America del Nord ci sono forti pressioni accademiche perchè nell'antichità nessun popolo dell'Europa possa aver raggiunto le due Americhe.  
   
Leggi anche:
- L’avventuradi Francisco Raposo                                 

Fonti:
-        Andrew Collins, Le porte di Atlantide, pagg. 99-102, Mondolibri, Milano 2001.
-        Antichi Romani in America, Fenix 61, novembre 2013

Marco Pugacioff
va agli

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.