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martedì 8 novembre 2016

La ciotola di Fuente Magna


La ciotola di Fuente Magna

Galileo Ferraresi mi ha fatto conoscere due articoli, uno della ricercatrice April Holloway e l’altro del dottor Clyde Winters che ci aprono uno sguardo sulla navigazione oceanica nell’antichità. Questo è un sunto dei due articoli.




Nel 1958 nel piccolo borgo di Fuente Magna nella località di Chua, sul lago Titicaca, in Bolivia, un contadino lavorava in un terreno che era proprietà della famiglia Manjon. Un terreno che, due anni dopo, la famiglia scambiò con il municipio di La Paz con un altro terreno nei pressi della capitale.
   Ma non è questo che ci interessa, no. Ciò che ci interessa è che questo lavoratore dei campi ritrovò una bella e grande ciotola illustrata che sembrava molto antica. Il bello è che quelle incisioni ricordano da vicino due diversi tipi di scrittura: uno proto-sumerica e l’altra quella di una lingua locale, quella dell’antica Pukara, che precedete la civiltà di Tiahuanaco.
   Un archeologo boliviano, il dottor Max Portugal Zamora, cercò in quello stesso periodo, di decifrare le strane iscrizioni ma non arrivò a nessun risultato. La misteriosa ciotola detta di Fuente Magna, finì così nel magazzino del Museo de los Metales Preciosos, e vi restò per ben quaranta anni. Fino a che due ricercatori, il dottor Bernardo Biados (argentino) e l’archeologo boliviano Freddy Arce, si misero a studiare lo strano reperto. I due furono messi in contatto con un contadino locale della bella età di 92 anni, il quale, dopo aver visto le foto della ciotola, affermò che un tempo era stata in suo possesso e – pensate un po’ – la usava per dar da mangiare ai suoi suini.

Come si vede i caratteri sono infatti molto simili a quelli sumerici

    A questo punto i due ricercatori mandarono foto dettagliate della ciotola ad un ricercatore specializzato in lingue antiche, il dottor Clyde Ahmed Winters.  Questo epigrafista mise a confronto le iscrizione della ciotola con la scrittura libico-berbera utilizzata nel Sahara circa 5.000 anni fa, quando era una regione piena di acqua e di verde. Una scrittura che veniva utilizzata fino alla valle dell’Indo e quindi anche dai primi Sumeri.  
   Il dottor Winters, nel suo articolo Decipherment of the Cuneiform Writing on the Fuente Magna Bowl, concluse che la scritta sulla ciotola «era probabilmente proto-sumerica» e ne offrì la seguente traduzione:

Avvicinati nel futuro ad una persona dotata di gran protezione nel nome della gran Nía. Questo oracolo serva alle persone che desiderano raggiungere alla purezza e rafforzare il loro spirito. La Divina Nía diffonderà purezza, serenità e forza (spirituale).
Usa questo talismano (la Fuente Magna), per far germogliare in te saggezza e serenità. Utilizzando il santuario adeguato, l’unzione sacra, il savio giura di intraprendere il giusto cammino per raggiungere la purezza e la forza (spirituale). Oh sacerdote, incontra l’unica luce per tutti coloro che aspirano ad una vita dignitosa.


  
 In pratica la scritta richiedeva la protezione della Dea Nia e utilizzava la ciotola come un talismano per far germogliare la terra. Non per niente sulla ciotola vi è una figura a braccia aperte e a gambe divaricate che potrebbe rappresentare la stessa Dea.
  Secondo i testi antichi, Ni-ash (Nammu o Nía) era la Dea che diede inizio alla luce, al Cielo e alla Terra, al tempo dei Sumeri. “Nia” o “Nammu” è la Dea sumerica che individua nell’“abisso delle acque”, l’oceano primordiale.
Fu la prima divinità e originaria del tutto. Dea del nascimento, il suo centro di culto era nella città sumera di Ur. viene riprodotta come un essere anfibio, e in molti testi è identificata come la consorte di An e la madre di Enki.

   A questo punto Bernardo Biados ipotizzò che la ciotola fu realizzata da dei Sumeri che si stabilirono in Bolivia intorno al 2.500 prima dell’Era Volgare. Del resto, precisò sempre Biados, è noto come i Sumeri navigassero verso il lontano subcontinente indiano e alcune navi sumere avrebbero potuto trovare una rotta per aggirare il Sud dell’Africa ed entrare in una delle correnti che conducono, attraverso l’Atlantico, dall’Africa al Sud America.
   Il dottor A. H. Sayce nei suoi libri scrisse che la terra dello stagno in sumero sarebbe Kuga-Ki, e chiarì come i Sumeri asserivano che lo stagno che avevano, proveniva da questa terra. Sayce sosteneva che questa terra fosse la Spagna, ma in aiuto all’ipotesi “americana” arrivano alcuni toponimi dell’Altopiano situato tra Bolivia e Perù i quali suggeriscono che la “Terra del tramonto” indicata in antiche tradizioni sumeriche, poteva essere appunto in Sud America.

La barca di Magur da wikipedia

   Come abbiamo già scritto i Sumeri erano grandi navigatori e Re Sargon I vissuto nel 2700 prima dell’Era Volgare, asseriva che Kuga-Ki era parte del suo impero e in un documento redatto da un ufficiale assiro nel 8° secolo a. E. V. – tradotto da Sayce per un suo articolo apparso sulla rivista Ancient Egypt – è scritto che il domino di Sargon includeva tutti i paesi dal sorgere al tramontare del sole, dalla terra del Muru al Kuga-Ki la terra che si trova aldilà del mare superiore (il Mediterraneo).
   A. H. Verrill e R. Verrill, nel loro Americas Ancient Civilizations e J. Bayley nel suo Sailing to Paradise, sostengono che l’area intorno al lago Titicaca poteva esser stata denominata Lago di Manu dai Sumeri che effettuarono molte visite a Kuga-ki. Secondo le tavolette sumere i Sumeri navigavano su navi dette Magur che potevano trasportare fino a diciotto tonnellate e mezze di metalli preziosi.
    Ma da dove venivano questi metalli? Se gli esploratori Sumeri sfruttando le correnti che dall’Africa portano in America potrebbero esser penetrati nel Rio delle Amazzoni fino a che, tra il Bolivia e il Perù, trovarono grandi depositi di stagno.


Amazonomachia, pittura greca su vaso, ca. 500 a. C.

   Una parentesi. Ricordo che delle Amazzoni – a cui è stato dato nome a uno dei più grandi fiumi del mondo – Diodoro Siculo, nel 1° secolo dell’Era Volgare, narra la storia di una regina delle Amazzoni che attraversa l’oceano, combatte gli Atlantidi, e poi le Gorgoni. È strano, ma Pizarro arrivato in Colombia trovò un’isola di nome Gorgone. [per le amazzoni in America vedi:  http://www.cultura-barocca.com/imperia/amazzoni.htm]
   Non solo, lʹarcheologo Bernardo da Silva Ramos ha fatto conoscere le imponenti rovine di Marajó, un’isola sul Rio delle Amazzoni, con le sue imponenti sale sotterranee collegate per mezzo di gallerie dalle mura di pietra. E sopratutto una collezione di bellissimi vasi con disegni che ricordano molto da vicino quelli etruschi. [cfr. Peter Kolosimo, Terra Senza tempo]

   È da credere che i Sumeri per poter lavorare la terra dello stagno si sia fatta amica la popolazione locale e che questa abbia lavorato insieme a loro per estrarre il metallo e che abbia adottato molte usanze sumere come la loro lingua e il loro tipo di scrittura.
   Se le Ande erano la sede della terra dello stagno o Kunga-Ki dei Sumeri, bisogna sapere che in origine esse erano chiamate Antis. E questa zona era chiamata Antisuyo o Regno degli Antis e in lingua quechua – parlata anche qui, oltre al chipaya e allo aymara – antis significa rame.
   In questa zona della Bolivia ci sono ricchi giacimenti minerali in particolare presso il lago Poopo, un mare interno di 80 chilometri di lunghezza anticamente collegato al Pacifico da fiumi ormai prosciugati. Il Poopo è un mare poco profondo, appena 0.6 metri profondità ed è noto che a volte si asciuga. Esso è collegato al Titicaca dal fiume Desaguadero, però il Poopo ha un lago compagno, il lago Uru sulle cui sponde si trova la città di Oruro.
   Sempre secondo gli scritti di Clyde Winters, nella città di oruro ed anche in quella di Corocoro venivano estratti oro e rame. In sumero per indicare una città si diceva Ur od anche uru e i suffissi  -oro per le città intorno al Poopo è singolarmente simile ad Ur.

Potosi, la prima immagine in Europa. Pedro Cieza de León, 1553.

   Un centro importante per l’industria mineraria è Potosi, famosa per i giacimenti di stagno, ma anche per l’argento che nel 1550 gli spagnoli estraevano dalla sua collina tanto da chiamarla Cerro Rico cioè montagna ricca. Seppur venisse pagato un salario ai lavoratori indigeni, essi non erano altro che schiavi e la popolazione della zona fu decimata nelle miniere.
   Bailey ha suggerito inoltre che Potosi si avvicina al termine sumero Patesi, che significa “re sacerdote”.
   Si può supporre così che i metalli estratti dai Sumeri sull’altopiano venivano trasportati  lungo il fiume Pilcomyo che oggi viene chiamato Rio de la Plata, il fiume dell’argento e attraverso l’Atlantico fino al Mediterraneo e da lì alla Terra dei due fiumi, la Sumeria.
    Per concludere, la ciotola di Fuente Magna, viene indicata come la «la stele di Rosetta delle Americhe», anche se i soliti demistificatori ritengono la ciotola un falso.
  
Fonte:

Vedi inoltre il sito di Yuri Leveratto:



Marco Pugacioff
va agli

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