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sabato 12 novembre 2016

Notizie biografiche ottocentesce su Cecco d'Ascoli


Da: Biografia universale antica e moderna
Ossia
Storia per alfabeto della vita pubblica e privata di tutte le persone che si distinsero per opere, azioni, talenti, virtù e delitti.
Opera affatto nuova
Compilata in Francia da una società di dotti
Ed ora per la prima volta
recata in italiano con aggiunte e correzioni
Volume X.
Venezia, presso Gio. Battista Missiglia
MDCCCXXIII
Dalla tipografia di Alvisopoli
Pagg. 434 – 436.
CECCO D'ASCOLI.

 
Né l'uno, né L'altro di   questi due  nomi è quello del  personaggio   singolare, ch'essi indicano in tutta  le biografie o bibliografie: il suo nome di famiglia era Stabili; il suo nome di battesimo, Francesco, di cui quello di Cecco é il diminutivo; e, siccom'era nato in Ascoli, nella marca d' Ancona,  l'uso di chiamarlo Cecco d'Ascoli ha talmente prevalso, che, se di lui si scrivesse un articolo col nome di Stabili (Francesco), il che sarebbe peraltro più regolare,  niuno il  cercherebbe. Si fissa ordinariamente la sua nascita verso l'anno 1257. Uno degli storici della sua vita dice che, essendosi dato dalla prima gioventù con eguale successo agli studj serii ed alle arti dilettevoli, volle porgere a' suoi concittadini un saggio delle sue cognizioni in matematica, proponendo loro di far giungere il mare Adriatico fin sotto le mura di Ascoli; ma che gli abitanti non osarono accettare tale  proposizione nella tema di perdere i vantaggi, che   ritraevano dalla  vallata del Trento [Il Tronto, nota Puga]. Aggiungesi che la fama di Cecco si sparse fino ad Avignone, dove   risedeva  il  papa  Giovanni XXII;  che quel  pontefice ve lo chiamò e lo fece suo primo medico; che tale favore eccitò contro di lui certi invidiosi, che l’obbligarono a dimandare il suo commiato; che, tornato in Italia ed invitato da parecchie città, preferì di fissarsi a Firenze, dove si  strinse in amicizia con Dante; che si disgustò in seguito con lui e con Guido Cavalcanti, e disse d'ambedue molto male in una delle sue opere; che s'attirò in tal modo l'odio loro e quello de' Fiorentini; che finalmente i Bolognesi lo strapparono ai pericoli, che correva a Firenze, chiamandolo in qualità di professore  nella   loro   università, dove insegnò l'astrologia e la filosofia dal  1322 fino al 1325. Tutti questi fatti sono insieme legati in maniera che non si può separarli, adottando gli uni ed escludendo gli altri. Tiraboschi ricusa  tuttavia d'ammettere i principali o piuttosto questo eccellente critico ne prova chiaramente la falsità. In primo Cecco non fu medico; niun autore, degno di fede, gliene ha dato il titolo; ei non professò la scienza medica, né di essa fece l'argomento di niuna sua opera. Donde gli sarebbe adunque venuta quella riputazione che lo fece chiamare ad Avignone per  esser medico del papa? In seguito Giovanni XXII non fu eletto che nel 1316, e se, abbandonando la sua corte, Cecco si recò a Firenze, non poté unirvisi in amicizia né con Dante, il quale n' era esiliato fino dal 1302, né più vi tornò, né con Guido Cavalcanti, il qual era morto nel 1300.  E' cosa più certa e fondata sui titoli incontestabili che insegnò pubblicamente l'astrologia a Bologna; che nel 1324 fu accusato al tribunale dell'inquisizione e condannato da fra Lamberto da Cingulo, [Cingoli, nota Puga dell'ordine de' frati predicatori, a pane unicamente penitenziali. La sentenza in data de' 16 di decembre ingiunge che per penitenza d'avere malamente ed irregolarmente parlato della fede cattolica farà nel termine di quindici giorni una confessione generale de' suoi peccati; che dirà tutti i giorni trenta Pater noster ed altrettante Ave Maria; che per un anno, in epoche fissate, digiunerà in onore della croce e del crocifisso; che tutte le domeniche ascolterà il sermone nella chiesa de' frati predicatori o de' frati minori; che sarà privato di tutti i suoi libri d'astrologia, piccoli e grandi; che non potrà più insegnare, sia in pubblico, sia in particolare, l'astrologia, né a Bologna, né altrove; il titolo di maestro ed il dottorato gli saranno tolti per quanto tempo vorrà il frate inquisitore, ed è finalmente condannato a 70 lire d'ammenda, che pagherà, sotto pena del doppio, prima della festa di Pasqua. Il dispiacere, che gli cagionò questa faccenda, lo indusse senza dubbio ad abbandonare Bologna per Firenze. Maggiori sventure ivi lo attendevano. Condotto di nuovo dinanzi all'inquisizione, vi fu condannato al fuoco come eretico, ed abbruciato pubblicamente nel 1327. La cagione di quell'orribile sentenza è anche essa diversamente narrata. Si può leggere in quel che ne dice Villani nel cap. 59 del suo X libro. Altre circostanze sono aggiunte da Mazzucchelli, Scrittori italiani, tomo I, parte 2; ma il dottor Lami, che ha pubblicato poi nel suo Catalogo della biblioteca Ricardi la sentenza dell'inquisitor di Bologna, v' ha unita quella dell'inquisitor di Firenze, e questa sentenza prova che lo sventurato Cecco fu colto nella seconda città dalla vendetta del tribunale che lo avea condannato nella prima a pene, alle quali erasi sottratto. « Frate Accursio, v'è asserito, dell'ordine de' frati minori, inquisitore a Firenze, visto il processo che gli è stato mandato ai 17 di luglio del 1327 da frate Lamberto (di Bologna) contro maestro Cecco d'Ascoli, essendo stato citato come presente maestro Cecco, nel coro della  chiesa de' frati minori di Firenze ai 15 di settembre del detto anno, l'ha dichiarato eretico e  lo ha consegnato al tribunal secolare del vicario ducale, presente ed accettante, ond'esservi assoggettato alle pene che gli sono dovute (animadversione debita  puniendum); ha condannato il libro latino d'astrologia, di cui è autore, ed un altro in lingua volgare, intitolato l’Acerba; ha decretato che sarebbero bruciati, ed ha scomunicati tutti que' che  possedessero tali o simili libri.  Nel medesimo giorno il suddetto vicario, mandando senza indugio con soldati della sua guardia mastro Cecco davanti ad una moltitudine di popolo raccolto,  l'ha fatto abbruciare in esecuzione della sentenza di morta  pronunziata contro di lui e tutti gli altri». Si crede comunemente che il trattato d’astrologia, scritto in latino, citato in questa sentenza, è il commento sulla sfera di G. di Sacrobosco, che fu in appresso stampato con questo titolo; Commentarii in sphaeram Joannis de Sacrobosco, Basilea, 1485, in fogl., ristampato coi commenti di Francesco da Capua e Giacomo le Febvre d'Etaples, Venezia, 1499, in fogl., e 1559, in fogl. Ve n'è un'edizione gotica, senza data e senza nome, di luogo, né di stampatore, intitolata: Sphaera mundi cum tribus commentariis Cicchi Esculani, Franc. Capuani de Manfredonia, Jac. Fabri Stapulensis. Nel principio di tale commento Cecco stesso parla d'un'altra delle sue opere d'astrologia, intitolata: Praelectiones ordinaria astrologiae, habitae Bononiae: è probabilmente la medesima che cita il padre Sarti nel suo libro De professoribus bonoiensibus. Ivi parla, tomo I, parte prima, pagine 435, d'un manoscritto 
della biblioteca Vaticana,  contenente  quest'opera, che  ha per  titolo: Incipit scriptum de principiis astrologiae secundum Cicchum, dum juvenis erat electus per universitatem Bononiae ad legendum. Si possono trarre da questo titolo conseguenze, che, lungi dal dilucidare la storia dell'autore, vi gettano nuova oscurità. S'era molto giovine, allorché scrisse questo libro a Bologna;  vi fu adunque chiamato lungo tempo prima del 1322, ovvero, in vece d'essere nato verso l'anno 1257, non nacque che verso la fine del secolo XIII,  ed, in vece d'essere stato abbruciato, siccome si dice, di settant'anni, lo fu in tutto il vigor dell'età, non avendo più di 30 anni. L'altra opera, menzionata nella sentenza ed intitolata l'Acerba, è poco nota;  è un cattivo poema, scritto in terza rima, intorno alla fisica ed alla storia naturale, con mescuglio di filosofia morale e, di visioni astrologiche. Sembra che quella moltitudine d'oggetti diversi, de' quali vi si parla, abbia somministrato all'autore l'idea del suo titolo. Questo titolo, tal quale v'era stato posto, era l'Acerbo, parola in cui il b, era usato, siccome avveniva sovente, per un v. Acerbo dal latino acervus significava un cumulo o un ammasso di cose ammontate, il che indica assai bene quella moltitudine e quella diversità d'oggetti, cui discorre il poema. Copisti ignoranti hanno in seguito posto acerba, e da una di queste copie sarà stata eseguita la prima edizione, da cui questo titolo è passato in tutte le altre. La prima edizione è quella di Venezia, per Filippo di Piero, 1476, in 4.to. Ve ne furono parecchie altre prima della fine del secolo XV, con un commento di Niccolò Massetti. Venezia, 1478, 1481, 1484, 1487 tutte in 4.to, e tutte rarissime; quelle di Milano, 1484, 1505, 1521 col commento e con figure in legno, lo sono parimente. Due edizioni a Venezia nel 1519, 1550 in 8.vo, sono meno ricercate. perchè v'è stata fatta alcuna soppressione. E' cosa difficile di trovar in tale poema i tratti d'eresia che ne fecero abbruciar l'autore; ma occorrono in esso alcune cattive critiche del Dante e di Guido Cavalcanti, con cui Cecco, da prima loro amico, si era disgustato. I Fiorentini aveano perseguitato quei due poeti, mentre vissero, e n'erano diventati ammiratori dopo la loro morte. Gli ammiratori del Dante e di Cavalcanti si unirono quindi ai nemici di Cecco, de' quali il medico Dino del Garbo uno fu de' più accaniti, e contribuirono ad ottener contro di lui dal Santo Uffizio quella sentenza, in cui havvi pari assurdo e barbarie.
 G—é.


dal VOLUME L. (50)
Pagg. 44 - 45.
SACROBOSCO (Giovanni de),
astronomo, così chiamato dal nome latino del suo luogo natio, in inglese Holywood (1), nell'Yorkshire , nacque verso il principio del secolo decimoterzo. Dopo  che  finiti ebbe gli studi nell'università di Oxford si recò a Parigi, dove gli   acquistarono grande riputazione i suoi talenti in matematica. Egli vi morì, nel  I256   e fu sepolto nel convento de’ Trinitari in cui vedovasi il suo sepolcro adorno  d'un astrolabio con  la seguente iscrizione:
M. Cristi bis C quarto deno quater anno,  
De Sacrobosco discrevit tempora ramus
Gratia cui nomen dederat divina Joannes (2).
L'opera a cui Sacrobosco ha dovuto  la sua celebrità è un  opuscolo De sphaera mundi, diviso in 4 parti, di cui la prima tratta della sfera e   della forma della terrà; la seconda  dei circoli ; la terza del moto annuo  della terra, del levare e del tramontare degli astri, del crescere è del  diminuire dei giorni e delle notti, e  della divisione per climi ; e finalmente la quarta del moto diurno della terra e della causa delle eclissi. È  un compendio dell'Almagesto di  Tolomeo (Vedi tale nome), e dei comenti degli Arabi. Ha goduto della   massima  riputazione   nelle  scuole per più di 400 anni, ma ora è totalmente dimenticato (Vedi Weidler Hist. astron.,   pagina  277; Bailly,   Hist. de l’astron. mod., I, 298, e l’astronom. di Lalande, art. 395). Il trattato di Sacrobosco  fu, dopo il poema di Manilio (Vedi tale nome), la prima opera d'astronomia  che venisse stampata. La prima edizione; Ferrara, 1472, in 4.to di 24 foglietti, è rarissima : se ne contano almeno   14 edizioni nel secolo  che vide nascere l'arte della stampa,  22 nel decimosesto, ed 11 nel decimosettimo. L'edizione più recente citata da Lalande,   è del  1699 (Vedi la  Bibl. Astronomica). I dotti astronomi, Giorgio Purbach, G. Müller (Regiomontanus), Elia Vinet, ec., l'hanno dilucidato con note o comenti, e tradotto venne in quasi tutte le lingue. I vecchi bibliotecari francesi, La Croix du Maine e Duverdier, ne citano due traduzioni in francese, una di Martino Perer, Bearnese, Parigi, 1546, e l'altra di Guglielmo Desbordes, gentiluomo Bordelese, ivi, 1570. Pare che il primo astronomo che osato abbia criticare Sacrobosco fosse Francesco Barocci, patrizio veneto, nella prefazione del suo Trattato di Cosmografia, 1570, in 4.to ; egli indica o dimostra 84 errori in cui è caduto il matematico inglese. Oltre il trattato di cui abbiamo parlato, Sacrobosco è autore ; De anni ratione, sive de computo ecclesiastico. Non se ne conosce edizione anteriore a quella, publicata da Melantone in seguito al trattato della sfera, Wittemberg, 1538, in 8.vo. Leland (Comm. de script. Britannis) cita in oltre di Sacrobosco un opuscolo, De algorismo, rimasto manoscritto.

(1) Holywade o Halifex, secondo Leland.
(2) Ne'quattro lati della pietra si leggevano i seguenti Versi uno per ogni lato :
De Sacrobosco qui compotista Joannes
Tempora discrevit, jacet hic a tempore raptus.
Tempore qui sequeris memor esto quod morieris,  
Si Miser es plora,  miserum pro me precor ora.
 W—s.



Volume L. (50)
pag. 75.
SAGHANY ( Ahmed Ben Mohammed Al ),
astronomo arabo, viveva   a Bagdad   nel quarto secolo dell'egira, sotto il regno di Cheref-ed-Daulah, figlio di Adhad-ed-Daul-lah. Tale principe avendo fatto erigere un osservatorio nel suo giardino, ne affida la direzione a Saghany, il quale fu incaricato di costruirne tutti gli stromenti. Saghany giustificò la scelta del principe;  però che pochi artisti erano giunti al grado di perfezione a cui egli aveva  portato l'arte sua. Il tempo, lungi dal diminuire la sua riputazione, non fece che accrescerla. Si ricercavano premurosamente, lungo tempo dopo la sua morte, gl'istrumenti di sua fattura. Non solo, aveva perfezionato gli antichi dando loro più aggiustatezza e solidità ; ma ne aveva anche  inventato di nuovi. Era particolarmente esimio nella costruzione dell'astrolabio, siccome indica il soprannome d'Asterlaby che gli danno i biografi arabi. Mori a Bagdad l'anno 379 dell'eg., 989 di G. C.
Jn.

va agli

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