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mercoledì 17 maggio 2017

L'origine leggendaria dei Merovingi


L'ORIGINE LEGGENDARIA
DEI
MEROVINGI
Articolo di autore anonimo apparso su
Les albums du grand BLEK n. 362 del Février 1981


   Viene definita «merovingia» la prima dinastia di re «insediata» che regna grosso modo sul territorio della Francia attuale. La sua storia è mal conosciuta dai mortali; innanzitutto perché i documenti non abbondano di certo, e poi perché questa saga costituisce un piacevole "vaso di Pandora" che scoraggia lo storico dilettante. Qualche nome dei sovrani merovingi sono tuttavia passati alla posterità: Clodoveo, naturalmente, la cui gloria postuma è unita a quella della moglie Clotilde; il buon re Dagoberto, immortalato dalla famosa chanson; e infine une folla anonima di Chilperico, Childeberto e Clotario tra gli altri!
FARAMONDO NELLA TROADE

  La dinastia merovingia si estingue nel 751 dell’Era Volgare, con il regno di un certo Childerico III, un re fannullone del suo stato. Questo si sa da fonte sicura. Ma per ciò che riguarda il suo inizio, le cose sono avvolte da un po’ di nebbia.
Priamo,  ultimo re di  Troia, padre di Ettore, Paride, Cassandra, ecc., avrebbe avuto, dicono, cinquanta tra figli e figlie. Il suo regno sembra estinguersi nel 1184 prima dell’Era Volgare, con la celebre Guerra di Troia.  Al tempo in cui regnava sulla Troade[1], riceve la visita di un uomo chiamato  Faramondo, capo di un popolo di saccheggiatori allevatori che affliggono la zona tra il Mar di Marmara e il Mediterraneo. Questo Faramondo è un tipetto simpatico; piace tanto a Priamo che gli dà presto in sposa una delle sue figlie. E, di colpo, Faramondo, il principe errante, si stabilisce presso della sua nuova famiglia.
   Arriva la  Guerra  di  Troia. Durante l’assedio di Troia, il coraggio di Faramondo fa nascere una tale ammirazione da parte del nemico che, alla caduta della Città d’Ilio, Ulisse stesso veglia personalmente che lui e la sua truppa possa lasciare la città senza problemi.
   Faramondo riprende allora la sua vita errabonda. Ma il numero della sua gente viene aumentato da quei superstiti Troiani scampati al massacro, che non si sono voluti sottomettere al giogo greco.
   Al tempo in cui questa gente raggiunge la Valacchia (nell’odierna Romania) Faramondo muore all’età di... 300 anni!

I DISCENDENTI DI FARAMONDO

   Da allora, tutti i discendenti in linea diretta di Faramondo si chiamano Faramondo, e godono dell’incredibile salute del loro antenato. Con questi nuove guide, il popolo prosegue la sua marcia, e arriva verso il 50 prima dell’Era Volgare sulle rive del fiume Nistro [Dniestr]. Lì, nascono delle contestazioni sull’itinerario da seguire: un gruppo segue il fratello cadetto del Faramondo di quest’epoca e si stabiliscono nella zona tra Brema e Amburgo.


All’età di 270 anni, è dura guidare delle spedizioni di conquista!

   Gli altri i più numerosi restano fedeli a questo Faramondo che li conduce fino alla riva del Mar d’Azov. Essendo la regione ricca e poco popolata, Faramondo suggerisce alla sua gente di diventare sedentaria. Proposta accettata: si fonda uno stato che viene chiamato Meozia[2] e si fonda una capitale.
   Ma poi i Meoziani ne avranno ben presto  « abbastanza » di questa esistenza monotona. Così nel 140 il Faramondo che vive in quegli anni, si dice che forse il suo zietto di una secolo prima (più o meno) aveva avuto una buona idea nel risalire il Nistro; e propone di raggiungere i suoi attuali cuginetti ad Amburgo. Ma non tutti sono d’accordo; sotto la guida di altri capi, dei gruppi fanno scissione: costoro partono ciascuno per la loro strada e diventano in seguito i Catti, i Sicambri, i Samavi[3], i Marsi[4], i Brutteri[5], ecc.

VERSO AMBURGO E I PAESI BASSI

  Intanto, i «fedelissimi» partigiani di Faramondo arrivano ad Amburgo, dove i loro lontani parenti gli fanno buona accoglienza. Ma probabilmente le risorse nella regione non bastano per tutti: quindi ripartono per il nord Ovest, in compagnia di qualche cugino amburghese in cerca d’avventura. Arrivano così in Olanda, dove sottomettono la popolazione frisone. E lì, si stabiliscono per un bel po’ di tempo.
   Questi discendenti di «Faramondo I» prendono il nome di «Franchi [Francs]». Ma l'unità de questi Franchi è precaria; L’inattività fisica porta necessariamente un po’ di zizzania all'interno di questo gruppo etnico piuttosto esuberante.
   A seguito di chi sa quale disaccordo, i «Franchi Ripuari [Francs Ripuaires]» si stabiliscono sulle ri­ve del Reno tra Colonia e Coblenza. I «Franchi Sali [Francs Saliens]» e il Faramondo del giorno occupano la valle renana dalla sua imboccatura fino a Colonia, più i Paesi Bassi: bè, essi erano i più numerosi.
   La tradizione fa spegnere l’ultimo dei Faramondi verso il 280. Costui lascia un figliolo di cinque anni, che, notevole bizzarria, non si chiama Faramondo, ma Clodione detto il Chiomato!

CLODIONE IL CHIOMATO

   Clodione promette molto. Il padre, verso la fine dei suoi giorni, incapace di guidare delle spedizioni militari, le fa guidare dal suo erede. E questi, malgrado la giovane età, si dimostra un vero condottiero: spegne numerose insurrezioni frisone e mette in fiamme tutte le navi pirata che hanno l’ardire di inoltrarsi nelle acque territoriale del suo papà. Giusto prima di morire, Faramondo l’aveva fatto sposare una ragazzina di appena dieci anni d’età, che era «la più bella di tutta la Francia!».


Questa creatura marina sarebbe l’antenato diretto dei primi re di Francia.
Inutile dire che Rea Silvia fu più fortunata…

Clodione ci viene presentato dal racconto storico come un omaccione dalla formidabile capigliatura e come un uomo dai colpi di mano piuttosto che come un conquistatore organizzato. Divenuto re, molti­plica le spedizione oltre il Reno, e arriva fino in Gallia dove dà delle sonore batoste all’occupante romano.
   Ma a lui interessa di più il bottino che i possessi territoriali.
   Il tempo passa... Clodione il Chiomato abborda la quarantina e sua moglie non gli ha dato ancora nessun figlio. Il sopranaturale aggiusta allora le cose. Un giorno in cui lei passeggia sulla riva, la bella sposa di Clodione vede aprirsi le onde del fiume per far passare a una creatura gigantesca, irta di pinne e dotato di un tridente. Dallo spavento, sviene. Allorché si risveglia, il mostro si presenta molto gentilmente: egli è stato inviato dagli Dei per metter fine alle angosce dinastiche di Clodione e della sua sposa. Durante l’incoscienza della regina, egli ha fatto tutte le cose necessarie perché Madame Clodione avesse avuto un figlio che sarebbe stato sia il figlio di Clodione e sia del mostro marino. Consiglia inoltre alla regina di chiamare il suo futuro erede «Meroveo [Mérovée]» (figlio del Mare), quindi l'emis­sario riguadagna le onde… e la sovranità del palazzo reale.

DOVE LA LEGGENDA RAGGIUNGE LA STORIA

   Nel 306 nacque in effetti Meroveo che non ebbe mai un notevole ruolo politico. Clodione detto il Chiomato muore nel 435, alla veneranda età di 170 anni e Meroveo aveva all’incirca 129 anni, un’età in cui doveva essere necessariamente un po’ affaticato. I suoi capitani conducevano in suo nome delle spedizioni guerriere alle quali la sua salute malsana gli impediva di essere presente.
  Nel 440 a 134 anni, bè, era tempo! Meroveo ebbe il buonsenso di essere per la prima volta il padre di un bambino che fu chiamato Childerico. Qui si ferma la legenda pura, perché Childerico è realmente esistito. Egli è, infatti, il primo dei re merovingi non ipotetico.
  Da questi episodi storici piuttosto deliranti, che cosa si ricava? Faramondo genero di Priamo è da scartare assolutamente: i cronisti storici dei primi merovingi hanno voluto solo dare ai loro sovrani una antichità prestigiosa. D'altronde, certi autori vanno ancora più lontano e menzionano un solo Faramondo, contemporaneo di Priamo e dei primi secoli della cosiddetta era cristiana! E gli si dona una longevità di qualcosa come 2000 anni d’età… da rendere Matusalemme verde dalla gelosia!
  Ciò che pare plausibile è che qualche gruppo di pastori nomadi si sia  stabilito sulle rive del Mare d’Azov alla fine del primo secolo della nostra era.  Si può supporre che il gruppo in questione sia emigrato più tardi nella regione renana. Faramondo, è un nome buono come un altro. Perché il capo di questi erranti non avrebbe potuto chiamarsi così?
   Sia quel che sia, i re franchi non succedevano per via ereditaria: erano sicuramente eletti ad acclamazione dai guerrieri riuniti in assemblea.
   Alla morte di uno di essi chiamato Clodione il Chiomato, hanno designato in questa maniera il giovane Childerico, che darà più avanti un nipotino al vecchio re. Perché no?
   E per quel che riguarda di Meroveo… bè, è davvero un caffè molto forte! Ma il suo regno fu menzionato per la prima volta da Clodoveo (476-511). Senza dubbio il primo dei re franchi pensava di dare qualche lustro al suo albero genealogico con l’introduzione di un mostro mitologico delegato dagli Dei!

Nota: ho preferito stare attento ai nomi dei vari re, dei luoghi e dei popoli,
ma per quanto riguarda le date ho lasciato quelle citate nell’articolo originale.
Marco Pugacioff



[1] Troade (gr. Τρῳάς) Regione storica dell’Asia Minore, compresa tra l’Ellesponto e il Golfo di Adramittio, dominata dal Monte Ida, percorsa dai fiumi Scamandro e Simoenta; corrisponde all’estremo angolo nord-occidentale della Turchia asiatica. Vedi:  http://www.treccani.it/enciclopedia/troade/
[2] La Meozia, nota anticamente come "Palude Meotide" o "Palude Meotica", era una regione paludosa e di mare basso da identificare coll'attuale Mar d'Azov, braccio marino del Ponto Eusino (Mar Nero) chiuso dalla penisola di Crimea, al confine tra Ucraina e Russia. Vedi: http://it.unionpedia.org/i/Meozia
[3] Uno dei loro capi, Neliogaste, si vide restituire il figlio che credeva morto, dal grande e futuro imperatore Giuliano, nel 358 dell’Era Volgare. Vedi pag. 705 del libro Dizionario delle date, dei fatti, luoghi ed uomini storici, o: Repertorio alfabetico di cronologia universale, tomo I di A. L. d'. Harmonville, Venezia 1842. consultabile in rete: https://books.google.it/books?id=yXd2AAAAMAAJ
[5] Brutteri (lat. Bructeri) Antica popolazione della Germania occidentale, a destra del Reno, fra l’Ems e la Lippe, confinante a N con i Frisi e i Cauci. Vinti da Druso nel 12 a.C., presero poi parte all’insurrezione batava del 70 d.C.; all’inizio del 4° sec. erano di nuovo in lotta con i Romani: Costantino li vinse nel 310. vedi all’indirizzo: http://www.treccani.it/enciclopedia/brutteri/
Liberamente tradotto e adattato da Marco Pugacioff

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Le leggende su Carlo Magno


Le leggende
su
Carlo Magno



    Il nonno di Carlo Magno era Carlo Martello, famoso per aver sconfitto i Saraceni a Poiters nel 732. Fu dopo quella battaglia che ebbe il sopranome di Martello.


CHARLES MARTEL  
Si attribuisce a San Eucherio, vescovo di Orleans, una visione in cui l’alto prelato viene trasportato da un angelo nel Purgatorio e qua trova Carlo Martello che espia le ruberie che aveva fatto ai possessi della Chiesa. A questa visione si aggiunge un racconto in cui viene narrata l’apertura della sua tomba. All’interno, invece del suo corpo, vi fu trovato un serpente, che altro non era che un demone. E sopra di essa i filosofi, pressati dal Clero, si incaricarono di accusarlo di frode, anche se la tomba di Carlo Martello al Saint Denis di Parigi, fu aperta da dei profanatori nel 1793.


profanazione delle tombe dela basilica s. Denis nell'agosto 1793

   Suo figlio Pipino detto il Breve, voleva sposare Berta dal gran piede, figlia del conte di Laon, che lui non aveva mai visto. Ma coloro che la dovevano condurre da lui, la sostituirono con un’altra donna che Pipino sposò. Questi intriganti avevano incaricato degli assassini di uccidere la principessa nella foresta delle Ardenne. Ma gli esecutori avendo avuto pietà della fanciulla, la lasciarono in vita, a condizione di lasciarsi passare per morta. Berta allora si rifugiò da un mugnaio, da cui visse molti anni. 


Un giorno Pipino, durante una battuta di caccia, arrivò da questo mugnaio. Il suo astrologo gli aveva annunciato che lì avrebbe trovato una fanciulla destinata a qualcosa di grande. Berta fu riconosciuta e ristabilita nei suoi diritti; essa divenne la madre di Carlo Magno.
La leggenda aggiunge che la prima sposa di Pipino aveva avuto un figlio, il quale, in seguito, eletto Papa nel 795 con il nome di Leone III, coronò Carlo Magno imperatore d’occidente.


A Leone III, gli venne attribuito l’Enchiridon Leonis Papæ, o Enchiridio una raccolta di preghiere magiche e fu da lui regalato come un dono prezioso al fratello Carlo Magno, dopo averlo incoronato. Il testo del 1670, editto a Roma, subito dopo un avviso ai cabalisti inizia con l’evangelario di San Giovanni, che dà delle orazioni per scongiurare il diavolo e da recitarsi al mattino di fronte al sole nascente. 


Secondo lo spagnolo Andrés Vázquez Mariscal, Leone lo realizzò con l’aiuto del sapiente giudeo Flegetanis, discendente diretto del mago Salomone. Il libro, alla morte di Carlo, fu preso da Eginardo che lo portò in un monastero della Bassa Sassonia sul lago Costanza, il monastero di Reichenau e dove il libro appare in un inventario del X secolo. Un libro che fu in possesso di Gerberto o papa Silvestro II e fu cercato aspramente da Carlo V e da Napoleone.


L'ammirazione di Harun Al-Rasched per Carlo Magno [e viceversa] era così grande, che gli faceva portare doni preziosi. Qui l'imperatore riceve gli ambasciatori orientali. Illustrazione olandese


Carlo Magno detta i suoi famosi Capitulari - Illustrazione di Jannin H.


ROGER Eugène - Carlo Magno attraversa le Alpi

   Numerosi prodigi si raccontano su Carlo Magno, il suo regno è l’epoca cara dei racconti cavallereschi, strapieni di incantatori, di giganti, di fate. Si è anche detto che durante la campagna contro i Mori in Spagna, gli sia apparso Santiago di Compostella per avvertilo di sottrarre il suo corpo dalle mani dei Saraceni. 


Le sue campagne contro i Sassoni non sono meno feconde in meraviglie, arrivando perfino a toccare la sua vita privata. Si narra che in vecchiaia si fosse perdutamente innamorato di una Sassone, tanto da non curarsi più, non solo dei problemi del regno, ma anche di quelli della propria persona. La morte di questa donna non spense la sua passione, tanto da non volersi separare dal suo cadavere.


   L’arcivescovo Turpino, avendo appresso di questa insana passione approfittando dell’assenza del monarca, entrò nella sua camera dov’era il cadavere, per cercare la causa di questo maleficio.
Nel corpo senza vita della donna, rinviene sotto la lingua un anello e lo estrasse dalla bocca. Tornato Carlo Magno alla sua residenza, si ritrovò davanti al povero corpo e subito si risvegliò come da un sonno profondo e la fece seppellire immediatamente.


Intanto Turpino spaventato dai poteri dell’anello e preoccupato che non cadesse in mani sbagliate, lo gettò in un lago, in modo che nessuno potesse più usarlo in futuro.


    Ma Carlo Magno si innamorò del lago e non volendosi allontanarsi da lì, vi fece sorgere un Palazzo e un monastero e fondò la città di Aix-La-Chapelle, cioè Aquisgrana.
    Un'altra singolare leggenda circola non su Carlo Magno ma su una sua guardia personale chiamata Giovanni d'Estampes, o Giovanni Dei Tempi. Questo Jean d'Estampes fu grande scudiero di re Carlo e uno dei dodici conti del suo impero. Vinse in singolar duello il Re di Cordova, ai tempi della campagna di Spagna e fu capostipite dei Conti Stampa di Cinisello Balsamo nel milanese fin dall'800. La leggenda dice che sia vissuto più 300 anni, senza svelare il segreto della sua longevità, nutrendosi solo di olio e miele.

 LECOMTE Hippolyte Carlo Magno attraversa le Alpi

 Marco Pugacioff da uno scritto di Collin De Plance


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L’Atlantide è realmente esistita di Luigi Motta


L’Atlantide è realmente esistita

Articolo apparso su Turok – Albi Spada, nuova serie n. 9 del 1 febbraio 1975
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Un mondo si inabissa tra ceneri e fuoco - Una grande spedizione
per rintracciare i resti - La scomparsa di una civiltà



   Agerton Sykes ex segretario dell'Ambasciata britannica a Varsavia a capo di un gruppo di ventisei studiosi, partirà dall’Inghilterra munito di macchine fotografiche al RADAR e del più completo armamentario scientifico per tentare di provare che l'Atlantide è veramente esistita. Sykes è sicuro che con i nuovissimi strumenti scientifici riuscirà a trovare tracce di antichi edifici che mostreranno un chiaro legame con le costruzioni dell'antico Egitto e della civiltà Atzeca in America. Vedremo solo dei cumuli di fango — disse — ma la loro forma ci aiuterà a sviluppare ulteriormente  le nostre  teorie.
   Cosi il mondo attende la soluzione del mistero per quanto questo Regno, vasto come l’Asia minore e la Libia messe insieme, che collegava l’Europa all’America, via maestra di civiltà superba, non sia da ritenersi sogno di poeta o fantasia di creatori  di  fiabe  e  di leggende.
   Poseidon, la città dalle sette porte ne era la superba capitale. Possedeva templi d'oro e giardini reali con gli alberi e le frutta di aureo metallo. È noto che questo continente, scomparso come Lemuria e altri, chiamato Atlantide perché si stendeva nel famoso Oceano, si trovava al di là delle Colonne d'Ercole lungo la così detta "cresta del delfino" sepolto oggi a due miglia di profondità nell'Oceano. Le sue vette più alte sarebbero costituite dalle Azzorre. Violenti maremoti lo squassarono inabissandolo sotto una pioggia di fango e di fuoco eruttati da cento vulcani.
   Enorme influenza ebbe questa terra nel mondo, tanto che la sua scomparsa isolò l’Europa dall’America, frapponendo fra l’una e l’altra l’oceano. Il 17 novembre 1912, il MAGAZINE SECTION OF THE LONDON BUDGET, rese note le scoperte archeologiche fatte da Enrico Schliemann, scopritore di Troja, Micene ed altro, riguardanti    appunto l'Atlantide.
   I documenti venuti in luce ed esistenti a Londra ed Atene, provano la veridicità del racconto di Paul Schliemann continuatore dell’opera del nonno. Gennaro D’Amato illustratore di gran nome, volle tradurre l’interessante narrazione dello Schliemann collegandola a un suo studio che vuole provare la  possibilità che l'Atlantide avesse potuto essere il naturale legame fra il vecchio e il nuovo mondo  nell'epoca preistorica e quindi il naturale punto di partenza del sapere e della civiltà mondiale.


   Quando D’Amato scriveva ciò ignorava che già fossero stati trovati e tenuti segreti dallo Schliemann i documenti archeologici che si dichiarano "provenienti dall’Atlantide", il maraviglioso Continente di cui parlò Platone nel TIMEO come di un isola posta al di là delle Colonne d’Ercole, inabissata circa cento secoli prima dell’era volgare e di cui la notizia era giunta al filosofo Solone dai sacerdoti Egiziani di Sais. Alla morte di E. Schliemann, avvenuta a Napoli nel 1890, il nipote Paul accettava la vistosa eredità dal nonno, lasciata a patto di proseguire le ricerche a Sais, nel Marocco e nella Valle Chacuna (America) ov’erano le tombe degli aborigeni Chimus. Gli scavi lunghi e pazienti offrirono un materiale cospicuo di documenti storici ed iscrizioni da far fremere il  mondo.
  L'Atlantide cessa dunque d’essere un mito o una leggenda come si era generalmente creduto per mancanza di documenti e diviene una realtà storica, cioè un Continente sprofondato nei flutti dell'Oceano in un periodo preistorico. I documenti ottenuti erano già leggendari per gli antichi Greci e Fenici. I vasi di un’argilla sconosciuta, le medaglie di un metallo composto da un amalgama sconosciuta agli antichi e a noi, le sculture, le cifre che si corrispondono dalle coste Europee a quelle d'America precolombiana, allargano i ristretti limiti del nostro orizzonte storico originario nel tempo e nello spazio, per lasciarci vedere il vero punto di partenza del sapere e della civiltà mondiale.
   Ben 64 milioni d’abitanti scomparvero nel più formidabile cataclisma, che abbia funestato il mondo.



   Se Picard nel suo audace tentativo di esplorare gli abissi marini riuscirà vincitore, può darsi ch’egli pure in un non lontano domani si cimenti ad esplorare i luoghi ove un cataclisma ineguagliabile sommerse in una notte la culla della civiltà nostra.
Luigi Motta


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Marco Pugacioff
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Antonio Magliabechi


Antonio Magliabechi

immagine tratta dall'archivio della NYPL Digital Gallery
    Antonio Magliabechi era un bibliotecario fiorentino del 1700. Notissimo anche all'estero perché dotato di una memoria prodigiosa, in modo che interrogato su qualunque argomento, citava subito gli autori che ne trattavano, le edizioni dei loro libri, le pagine dove ne ragionavano, riferendone spesso persino le parole testuali. Si racconta che avendogli un giorno un forestiero domandato se nella sua biblioteca Palatina c'era una certa opera, il Magliabechi lì per lì rispose:                                                
«No, qui non c'è; ma si tratta di opera rarissima e ce n'è un codice solo, che si trova nella Biblioteca del Serraglio a Costantinopoli, nel quarto armadio, terza fila, secondo volume a sinistra[1]
   Magliabechi nacque a Firenze nel 1633, avrebbe dovuto diventare orafo, ma "il furor d'aver libri e di ammucchiarli" fece di lui uno dei massimi eruditi della sua epoca e, al tempo stesso, un bibliomane, un bibliografo e un bibliotecario eccellente La sua casa in Via della Scala fu povera di mobilio (si narra che Magliabechi fu incurante di ogni agio materiale), ma ricchissima di volumi manoscritti e a stampa; ne raccolse ben 30.000 [2].


Biblioteca in miniatura [Musee de la Maison de Poupee de Bale- Swisse] che ben dà l'idea della casa di Magliabechi

   Venne descritto come un ghiottone letterario e il più razionale dei bibliomaniaci, in quanto aveva letto tutto quello che aveva comprato, e della sua memoria si disse che era come la cera per ricevere e il marmo per mantenere.
   Le storielle su Magliabechi abbondano. A quanto parrebbe era una persona d’aspetto minaccioso e selvaggio, che per un anno dimenticò perfino di ritirare il suo stipendio. Addirittura pensava che era uno spreco di tempo spogliarsi per andare a letto e la sua cena era in genere composta di tre uova sode con un sorso d’acqua, perché la vita era breve e i libri così tanti. 
   Aveva una finestrella alla sua porta, da dove poteva vedere tutti coloro che lo volevano visitare e se non gli piacevano non li faceva entrare in casa. Non per niente, soffriva di una cordiale antipatica per i gesuiti.
    In vita sua non sarebbe andato più lontano di Firenze o di Prato, dove accompagnò in una occasione, il cardinale Henry Norris, bibliotecario del Vaticano per vedere un manoscritto[3].
    Magliabechi morì il 4 luglio 1714 presso l'infermeria del convento di S. Maria Novella, vicino alla propria casa, dove era stato ricoverato negli ultimi mesi della sua vita. Il corpo fu esposto il giorno seguente a S. Maria Novella e qui sepolto presso la cappella Comparini. L’erudito lasciò un'eredità di circa 30.000 volumi (manoscritti e a stampa), parte presso la sua abitazione in via della Scala e parte in palazzo Vecchio. Grazie a questa donazione Firenze ebbe la sua prima biblioteca pubblica, nucleo originario dell'attuale Biblioteca nazionale centrale.
Per approfondimento consiglio la pagina della Treccani:


[1] (Fumagalli, Aneddoti bibliografici) – Dalla rubrica “di tutto un po’ “ in Mandrake n. 34 del 17 – XII – 1972.

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Marco Pugacioff
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sabato 6 maggio 2017

Enrico Ceccarelli – il Mandrake italiano


Enrico Ceccarelli – il Mandrake italiano


   Grazie all’acquisto di vecchie annate del Giornale dei Misteri, sono venuto alla conoscenza di un stupefacente personaggio che, nel 1975, il ricercatore Dido Buldrini nel suo articolo Ipnosi: arte e scienza[1], ha chiamato per ben 4 volte Mandrake!
    Al contrario di un suo antenato definito nel 1922, un ciarlatano[2], il dottor Enrico Ceccarelli di Siena, definito anche «il più famoso ipnotizzatore del mondo» aveva nel ’75 cinquant’anni di attività in cui ha strabiliato ogni genere di pubblico sulle più famose ribalte teatrali, dal Giappone, al Canada, all’Australia, in quel campo chiamato Ipnotismo, o Ipnosi (dal greco “sonno”).

dove è scritto che è un manifesto della raccolta di Charles Cabot, un agente teatrale e pubblicitario per i circhi, pantomime e spettacoli di varietà, che aveva raccolto centinaia di manifesti di circhi, di maghi, di spettacoli di musica popolare e altro ancora, dagli anni Venti agli anni Settanta.
 
    E proprio un anno dopo del libro del dottor Corsini, citato alla nota due, Ceccarelli partecipò a (ritengo) una partita a carte con tre suoi amici, uno dei quali di nome Sorbelli, d’improvviso si addormentò, vinto da una strana stanchezza.
Impressionati da quello che tutto sembrava meno che uno scherzo, fu chiamato il medico Giovanni Soldatini. Il dottore appena arrivato, vista l’immobilità, quasi catalettica di Sorbelli, riverso sullo schienale della sedia, notò subito la rivoluzione dei globi oculari e diagnosticò lo “stato di sonno ipnotico”.
L’articolo 728 del Codice Penale, a meno che non si tratti di esperimenti scientifici o terapeutici, impone l’arresto da uno a sei mesi, o una ammenda relativa per chi pone un individuo in stato di narcosi o di ipnotismo che ne sopprima la coscienza e la volontà. E il dottor Soldatini con rabbia esclamò: - «Dov’è? Chi è l’ipnotizzatore?». Ma lo sguardo sincero dei tre amici fece capire al medico dell’azione incosciente di uno di loro. Perciò chiese ai tre ragazzi di schiaffeggiare bonariamente – uno per uno – Sorbelli. Al tocco palmare di Ceccarelli, Sorbelli si risvegliò. «Ecco l’ipnotizzatore!» esclamò il medico, tra l’imbarazzante stupore generale.
   Ci sono persone che hanno dei “doni”, che li rendono diversi dagli altri, come la civitanovese Pasqualina Pezzola, della cui particolare dote di poter vedere il male dentro gli altri, si serviva un chirurgo camerinese prima di operare. E Ceccarelli fu uno di questi e all’inizio non credeva a questa sua dote, al fatto che le sue mani e la sua persona emanavano un fluido particolare, il famoso e misterioso “magnetismo”. Eppure il suo fluido straordinario c’era e colpiva a scuola, in strada arrivando – purtroppo per lui – a colpire una vecchietta che ruzzolò fragorosamente sotto a un banco in stato ipnotico ed anche sclerotico. Risultato: questura! E stavolta si beccò solo una lavata di testa, niente arresto o multa, lavata passata anche in famiglia, perciò sotto con gli studi.


Uno dei primi albi di Mandrake in Italia

Laureatosi in Economia e commercio presso l’università di Firenze, frequentò anche un corso di Psicologia presso l’università di Roma e la sua fama esplose nel ’38, quando a Radio Lugano sperimentò l’ipnosi-collettiva e cinque radioascoltatori rimasero bloccati. Fu da lì che venne definito il «Mandrake italiano», visto lo straordinario successo in Italia del personaggio creato da Lee Falk e Phil Davis.
    Durante il passaggio del fronte a Siena, uno degli ufficiali del Commando Alleato affetto da una insopportabile nevrosi dentaria – sapendo della sua fama – ricorse con disperazione alla sua facoltà. Di fronte a una cerchia di militari curiosi, Ceccarelli sfiorò col palmo della mano la guancia indolenzita dell’ufficiale britannico e miracolosamente il soldato fu liberato dal suo disturbo. Il “mago” fu ingaggiato dal Comando come ipnoterapeuta. Per due anni e mezzo operò con la supervisione di medici inglesi, curando particolarmente i soldati affetti da nevrosi per cause di guerra, arrivando al recupero del 40 % dei malati con la ipnoanalisi.  


    Finita la guerra la sua fama era già all’apice, e i successi maggiori vennero sui palcoscenici del Giappone, dove incontrò anche il cantante Claudio Villa e poi alla televisione nipponica. Qui nel ’72, con un esperimento unico al mondo riuscì ad ipnotizzare soggetti nipponici tramite l’interprete, dimostrando che per l’ipnosi non esiste alcun ostacolo, nemmeno quello glottologico. 


Un’esibizione straordinaria di Mandrake, opera di Galep. 

     Non basta, ipnotizzò perfino una leonessa nel 1957 a Marsiglia durante lo spettacolo in un circo. E nel ’69 si recò in Indonesia invitato da una impresa locale per una serie di dimostrazioni pubbliche sull’ipnosi. Dapprima nell’università della capitale di fronte a studenti, professori ed a varie autorità. Qualche giorno dopo nel teatro Lokasari, dove alcuni stregoni di Balì (isola in cui si dice si pratica la magia nera) si introdussero all’ingresso per esibirsi contro di lui. Allora il Mandrake italiano rispose il 13 luglio alle 10 di sera, con un esperimento collettivo di ipnosi sulla città attraverso la televisione e centinaia di persona rimasero bloccate di fronte al video nelle loro case. Il giorno dopo il quotidiano di Giakarta, il “Djakarta Minggu” scriveva che Ceccarelli aveva battuto gli stregoni di Balì che dal giorno prima non si facevano più vedere[3]

Mandrake e Lotar di Fredericks
    Il Mandrake italiano ebbe anche Arturo Toscanini come direttore d’orchestra durante uno sei suoi spettacoli, ma sottolinea Buldrini ha come partner (non certo il gigantesco Lotar), la classica musica di Beethoven, Wagner e Schubert.
   Buldrini, nel terminare il suo articolo – scritto dopo aver incontrato Ceccarelli nella sua casa di Siena – scrisse A presto, Mandrake!
   Purtroppo il “mago”, ho scoperto tramite una pagina di Facebook[4], scomparve pochi anni dopo, nel 1980 a ottantuno anni.
    In realtà la scomparsa del "Mandrake italiano" sarebbe avvenuta già nel '77. Infatti Giulio Cogni in un piccolo articolo a pag. 35 del Giornale dei Misteri n. 76, uscito a Luglio del '77 scriveva  «La morte e il funerale sono stati annunciati dalla stampa e dalla radio soltanto a cose fatte. Se ne è voluto andare silenziosamente, quasi sdegnosamente, nel silenzio nel quale si era chiuso negli ultimi anni, durante i quali, se mai, si era dedicato soltanto ad esperimenti curativi per sollevare con l'ipnosi le pene altrui.»



[1] Vedi Il Giornale dei Misteri n. 48 del marzo 1975, alle pagine 43-46. 


[2] «Il fatto di aver esso profetizzato [Tommaso Giannolti o Gianmozzi da Ravenna, che assunse poi anche il cognome di Rangone,] ad ogni Papa una vita arcilunga richiama alla mente un altro medico della stessa epoca che da prima semplicemente ciarlatano finì per divenire addirittura falsario, e lasciò per questo la vita sul patibolo, Alfonso Ceccarelli. Fu uomo indubbiamente dotto che lasciò molte opere, delle quali alcune di argomento medico; ma come prestar fede ad esse? Tra l'altro sembra proprio che a lui si debbano quelle profezie che egli avrebbe attribuito a San Malachia e che ad ogni morte di pontefice tornano ancora fuori sui giornali politici [La nota recita:  Corsini A.: Le profezie di S. Malachia ed un medico falsario. («Illustrazione Medica Italiana», anno IV, n. 3, marzo 1922), un articolo che non sono riuscito a trovare Puga].»
Andrea Corsini, MEDICI CIARLATANI E CIARLATANI MEDICI, Bologna, Nicola Zanichelli Editore 1922, pag.77.

[3] Secondo l’articolo di Buldrini, la vicenda è narrata nella Cronaca di Siena del 17 luglio 1969.




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Marco Pugacioff
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